Basta silenzio: dalla violenza digitale alle molestie in corsia, è tempo di chiamare le cose con il loro nome

Scritto il 03/09/2025

Come coordinatrice della community “Donne Protagoniste in Sanità”, mi trovo nuovamente a parlare di episodi che dimostrano quanto sia ancora lungo il cammino verso il rispetto della dignità femminile, anche negli spazi che dovrebbero essere per antonomasia luoghi di cura e protezione.

Il 20 agosto Meta ha finalmente rimosso il gruppo Facebook “Mia moglie”, uno spazio virtuale dove oltre 30.000 utenti – prevalentemente uomini nascosti dietro profili anonimi – condividevano fotografie di donne: mogli, compagne, fidanzate. Il gruppo, attivo dal 2019 ma esploso solo negli ultimi mesi, rappresentava un vero e proprio mercato della violazione della privacy femminile, dove corpi e volti di donne venivano esposti senza consenso al voyeurismo digitale di massa.

Grazie al coraggio della scrittrice Carolina Capria, che ha denunciato pubblicamente l’esistenza di questo spazio, molte donne si sono riconosciute in quelle immagini e hanno trovato la forza di sporgere denuncia. Ma quanti altri gruppi simili esistono ancora? Quante altre donne vengono violate nella loro intimità da chi dovrebbe amarle e proteggerle?

Come ci ricorda Silvia Semenzin, esperta di violenza di genere online, questi non sono casi isolati: esistono centinaia di canali dedicati alla condivisione non consensuale di materiale intimo, alle spycam, agli incontri organizzati con “mogli ignare”. Un ecosistema digitale costruito sulla mercificazione del corpo femminile.

Ma la violenza di genere non si ferma al mondo digitale. Pochi giorni fa, una giovane paziente di 23 anni ha denunciato via social un episodio di molestie verbali subito al Policlinico Umberto I di Roma. Durante una TAC al cranio, un tecnico radiologo ha pensato bene di commentare con i colleghi: “Se poi lo vuoi togliere – il reggiseno- ci fai felici tutti”.

Queste parole, pronunciate in un momento di vulnerabilità – una ragazza di 23 anni al pronto soccorso, preoccupata per la sua salute – rappresentano un attacco alla dignità che va ben oltre la “goliardia” o la “battuta innocente”. Rappresentano l’ennesima conferma che per molti uomini il corpo femminile rimane un oggetto di intrattenimento, anche quando quel corpo è affidato alle loro cure professionali.

Come professioniste della sanità, non possiamo permettere che i nostri luoghi di lavoro diventino spazi dove la violenza di genere trova terreno fertile. Non possiamo accettare che una paziente debba temere commenti inappropriati mentre cerca cure mediche. Non possiamo tollerare che colleghi pensino di poter trasformare un atto medico in occasione di molestia.

È tempo di chiamare le cose con il loro nome: quello che è successo al Policlinico non è stata una “battuta di cattivo gusto”, è stata molestia sessuale. I gruppi come “Mia moglie” non sono “svago tra maschi”, sono strumenti di violenza digitale.

Come community “Donne Protagoniste in Sanità” chiediamo:

Alle istituzioni sanitarie:

  • Formazione obbligatoria su rispetto di genere e prevenzione delle molestie per tutto il personale
  • Protocolli chiari per denunciare episodi di inappropriatezza
  • Tolleranza zero verso comportamenti lesivi della dignità delle pazienti

Alle piattaforme digitali:

  • Maggiore vigilanza sui contenuti condivisi
  • Algoritmi più efficaci nel rilevare violazioni
  • Collaborazione attiva con le autorità per perseguire i responsabili

Alla società:

  • Educazione al consenso fin dall’adolescenza
  • Riconoscimento che la violenza di genere ha mille volti, dal commento “innocente” alla condivisione non consensuale di immagini
  • Sostegno alle donne che trovano il coraggio di denunciare

Non siamo “pesanti”, siamo umane

La giovane paziente del Policlinico lo ha detto chiaramente: “Cosa dobbiamo fare noi, che ci continuate a dire che siamo pazze, che siamo pesanti?”. Noi, donne protagoniste in sanità, rispondiamo: non siete pazze, non siete pesanti. Siete esseri umani che meritano rispetto, cura, protezione.

E noi saremo sempre al vostro fianco, perché il silenzio non è più un’opzione. Perché la sanità deve essere un luogo di guarigione, non di ulteriore ferimento. Perché ogni donna ha il diritto di essere curata nella sua interezza: corpo, mente e dignità.

Il cambiamento inizia da noi, da ogni singola denuncia, da ogni voce che si alza. Inizia dal rifiuto di normalizzare l’inaccettabile.

Non dimentichiamo mai: il rispetto non è cortesia, è diritto.