Oltre la nostalgia: piccoli ospedali nella sanità che cambia

Scritto il 22/07/2025

Da simboli di prossimità a nodi intelligenti nella rete integrata delle cure

Un amore difficile da razionalizzare

Nelle aree interne italiane, i piccoli ospedali godono di una stima che spesso sfida ogni logica gestionale. Amati dalle comunità, contestati dagli esperti, sono al centro di una dialettica tra affezione e appropriatezza. Eppure, in un contesto in cui l’invecchiamento della popolazione e l’esplosione della cronicità cambiano profondamente i bisogni sanitari, è possibile immaginare per questi presidi una nuova funzione?

Dal luogo di cura al luogo di identità

I piccoli ospedali, specie nei contesti marginali, non sono solo spazi sanitari: sono presidi simbolici, punti di coesione sociale, luoghi dove sentirsi ancora “al centro”. Questo legame affettivo va riconosciuto e rispettato, ma non può giustificare un’offerta clinica inadeguata o inefficiente. Occorre ripensare questi spazi, non come repliche in miniatura dei grandi ospedali, ma come presidi riqualificati in base ai reali bisogni.

La fragilità della prossimità mal gestita

L’illusione che “essere vicini” equivalga a “essere curati” è pericolosa. Un piccolo ospedale non adeguatamente attrezzato può trasformare la prossimità in rischio clinico: interventi chirurgici sotto soglia, assenza di specialisti h24, carenze diagnostiche. L’equità non si garantisce replicando ovunque lo stesso modello, ma adattando le risposte ai bisogni – e alle fragilità – dei territori.

Un nuovo paradigma: intensità, continuità, domiciliarità

Il baricentro della sanità si sta spostando: meno ricoveri prolungati, più cure domiciliari, più prestazioni complesse in tempi rapidi, più integrazione tra professionisti. I piccoli ospedali non devono inseguire modelli obsoleti di ospedalizzazione generalista, ma allearsi con il domicilio, l’assistenza intermedia e la tecnologia per diventare hub intelligenti di prossimità.

Cosa vuol dire intensità assistenziale oggi

Il concetto di “giornata uomo-assistenziale per intensità assistenziale” misura il fabbisogno di personale sanitario non sulla base dei posti letto, ma del carico di cura richiesto da ciascun paziente. Si valutano bisogni codificati (mobilità, nutrizione, gestione del dolore, monitoraggio…) attribuendo un punteggio per stimare il tempo assistenziale giornaliero. Questo permette di calcolare quante risorse umane sono necessarie in base alla complessità clinica, e non alla quantità di letti occupati. Ad esempio, 10 pazienti a bassa intensità (1,5 ore/giorno) richiedono 15 ore di assistenza al giorno. 5 pazienti ad alta intensità (4 ore/giorno) ne richiedono 20. È una metrica già adottata in ospedali come il Gemelli e il Niguarda. Il suo vantaggio? Rende visibile il lavoro assistenziale invisibile, aiuta a motivare le richieste di personale, ed è più adatto a un sistema dove la complessità assistenziale conta più del numero di letti.

Dall’ospedale generalista al nodo territoriale evoluto
Alcuni piccoli ospedali possono essere trasformati in presidi ad alta accessibilità ma a bassa intensità: medicina interna, diagnostica di base, riabilitazione, teleconsulto, osservazione breve. In sinergia con infermieri di famiglia, trasporti sanitari assistiti e telemedicina, possono diventare snodi attivi della rete e non solo “presidi da mantenere”.La lezione del post-pandemia: investire in reti, non in muri
L’esperienza del Covid ha mostrato che la risposta efficace nasce da reti agili, dati condivisi, integrazione ospedale-territorio. I piccoli ospedali possono essere parte della soluzione se dotati di un progetto, di una funzione chiara e di indicatori per monitorarne l’impatto. Non serve salvare edifici, ma garantire percorsi. Non servono reparti vuoti, ma professionisti capaci in ambienti coerenti con la nuova domanda.

Proposte operative

  • Ridefinire il mandato dei piccoli ospedali in base a criteri epidemiologici, accessibilità e sostenibilità.
  • Sviluppare la domiciliarità attrezzata come primo partner dei presidi periferici.
  • Integrare le tecnologie (telemedicina, cartelle condivise, triage a distanza) nei modelli organizzativi.
  • Formare professionisti territoriali capaci di lavorare tra ospedale, domicilio e comunità.
  • Coinvolgere le comunità locali nei percorsi di trasformazione, superando la logica difensiva del “mio ospedale”.

Piccolo, se integrato, è ancora bello
Il futuro dei piccoli ospedali non è nella difesa sterile del passato, ma nella loro riconversione intelligente. Possono essere “grandi” se diventano parte di una visione sistemica che integra prossimità, qualità e innovazione. È tempo di superare la nostalgia funzionale e investire in una nuova prossimità, che non sacrifichi la sicurezza sull’altare della vicinanza.