Piccoli ospedali, grandi aspettative? Tra prossimità, equità e rischio clinico

Scritto il 10/06/2025

Un amore difficile da spiegare

Nelle aree interne italiane, spesso distanti dai grandi centri, i piccoli ospedali rappresentano molto più di un presidio sanitario: sono un simbolo di appartenenza, sicurezza, comunità. Difesi a oltranza anche quando le evidenze mostrano limiti clinici, strutturali ed economici, questi presidi vivono un paradosso: amati dalle persone, ma messi in discussione dai numeri. Perché succede? Quali sono i vantaggi e i rischi della loro prossimità? Cosa vuol dire oggi equità nelle cure per chi vive lontano dai grandi ospedali?

  • Secondo l’AGENAS, per alcune chirurgie il volume minimo raccomandato è 250 interventi/anno. Molti piccoli ospedali ne eseguono meno di 50.
  • La chiusura di piccoli ospedali è associata a riduzione dell’occupazione sanitaria, ma anche a miglioramento degli esiti clinici se i pazienti sono centralizzati.
  • In Toscana, il 33% della popolazione vive in comuni non serviti da un DEA di I o II livello nel raggio di 30 minuti.

L’ospedale come presidio di coesione sociale

Un piccolo ospedale, specie nei contesti marginali, non è solo un luogo di cura. È un simbolo di presenza dello Stato, un punto di riferimento culturale ed emotivo. In molti casi, è l’unico luogo pubblico accessibile h24, l’unico luogo dove ci si sente ancora al centro. Questo aspetto identitario va considerato, anche se non può da solo giustificare la permanenza di ospedali generalisti privi di standard.

Le criticità cliniche e organizzative dei piccoli ospedali

Volumi ridotti di attività e carenze strutturali compromettono l’efficacia e la sicurezza. La letteratura mostra che il rischio di complicanze aumenta dove si eseguono pochi interventi l’anno o dove le emergenze non sono supportate da team completi. Anche la reperibilità di personale qualificato, soprattutto nelle discipline chirurgiche e anestesiologiche, è spesso difficile. Si rischia di offrire prestazioni subottimali, con il paradosso di una vicinanza pericolosa.

Quando la prossimità si trasforma in fragilità

Essere vicini a un piccolo ospedale può diventare un fattore di rischio se il presidio non garantisce qualità e tempestività. Le aree interne rischiano di pagare un doppio prezzo: lontananza dai centri avanzati e vicinanza a strutture depotenziate. Non basta avere un Pronto Soccorso se mancano TAC h24 o specialisti di guardia. La prossimità non può sostituirsi alla competenza.

Le aree interne e la questione dell’equità territoriale

Garantire equità significa oggi saper adattare l’offerta ai bisogni reali, non replicare ovunque lo stesso modello. In territori spopolati o disagiati, l’ospedale generalista può essere meno utile di una rete che combina ADI potenziata, ospedali di comunità, trasporti assistiti e telemedicina. Ma è necessario un progetto, non solo tagli.

Piccoli ospedali dentro reti intelligenti

Un piccolo ospedale può trovare senso e sostenibilità se inserito in una rete ospedaliera ben progettata. Può diventare un nodo di primo livello, per medicina interna, diagnostica di base, post-acuzie. Può specializzarsi su cronicità o riabilitazione, diventare sede di progetti pilota o di innovazione tecnologica territoriale. Ma tutto questo richiede governance, investimenti mirati, formazione continua.

Superare la “nostalgia funzionale”

Non si tratta di difendere o chiudere gli ospedali, ma di chiedersi: quale è la cura utile? Qual è il modello più sicuro, equo e sostenibile? Una comunità non ha bisogno del suo ospedale, ma di percorsi di cura che funzionino per lei. La sfida non è salvare edifici, ma garantire diritti. E per farlo servono reti, non solitudini assistenziali.

Per costruire una risposta efficace, è necessario definire criteri trasparenti per classificare le funzioni dei piccoli ospedali, potenziare i presidi esistenti con funzioni specifiche e integrate nella rete, garantire trasporti dedicati e percorsi codificati di trasferimento, coinvolgere le comunità locali nei processi di riconversione e monitorare con indicatori di esito e appropriatezza i nuovi assetti. La trasformazione possibile passa attraverso una progettazione condivisa e consapevole.

Un caso emblematico – L’ospedale di Abbadia San Salvatore (SI)

Nell’Amiata senese, l’ospedale di Abbadia rappresenta un riferimento affettivo per tutta la comunità montana. Dopo anni di incertezze, è stato riconvertito in presidio di medicina generale e riabilitazione, con funzioni di post-acuzie, assistenza intermedia e diagnostica di base.

È collegato tramite telemedicina con il Policlinico Le Scotte di Siena. Il Pronto Soccorso è stato trasformato in Punto di Primo Intervento, con un’ambulanza medicalizzata pronta al trasferimento rapido. Un esempio di trasformazione graduale da ospedale generalista in struttura integrata di prossimità.